La chiesa di Vodo
Ultima modifica 31 agosto 2024
La Chiesa di Santa Lucia in Vodo
A Vodo è testimoniata l’esistenza di una chiesa dedicata a Santa Lucia fin dal XIII secolo. Nel volume di don Gianni Rech, La Chiesa di S. Lucia di Vodo di Cadore (S. Vito di Cadore 2006), si sottolinea come vi siano fra gli altri tre momenti particolarmente significativi per la chiesa in relazione alla vita dell’intera comunità: la sua erezione a curazia nel 1626, il distacco da S. Vito per diventare parrocchia autonoma nel 1857 e la ricostruzione dopo il bombardamento del 1917.
Comprensibilmente, gli avvenimenti attinenti alla vita spirituale e di organizzazione ecclesiastica trovano risonanza nell’archivio parrocchiale, tuttavia nell’archivio del Comune sono conservati progetti e documenti riferiti ai lavori all’edificio in quanto a carico della frazione di Vodo e quindi gestiti coi proventi dei beni regolieri, o perché effettuati con contributi statali.
Il caratteristico campanile merlato
La chiesa di Vodo è riconoscibile fra le altre della Valle per il caratteristico campanile dalla sommità merlata. Tuttavia fino alla metà del XIX secolo la torre campanaria di Vodo era un più comune campanile a punta.
Alla metà dell’Ottocento il vecchio campanile mostrava un pericoloso deterioramento nella parte superiore con evidenti segni di cedimento per cui si rese necessario un consolidamento.
Non ci è dato di sapere se i problemi fossero da imputare alla sostituzione di tre campane avvenuta solo qualche anno prima. Certo è che le nuove pesavano di più e per l’installazione avevano richiesto dei lavori proprio sulla sommità della torre. Le campane nuove erano state fuse a Verona nella Fonderia Luigi Chiappani e portate a Vodo con un carro trainato da quattro cavalli in un lungo viaggio durato dal 12 al 29 aprile 1841 costellato da molte tappe.
I lavori alla torre campanaria presero avvio in base al progetto 16 febbraio 1854 firmato dall’ingegnere civile Palatini e alle relative appendici. Il progetto iniziale prevedeva la demolizione e la ricostruzione degli ultimi quattro metri di campanile. Tenendo conto delle complessive condizioni statiche del manufatto, per rifare i muri perimetrali furono usate pietre tufacee, più leggere della pietra comune, “nella considerazione che il peso dell’innalzamento della canna potesse nuocere alla stabilità della torre”. Al tufo della cava di Lagole, fu preferito quello della cava di Nebbiù, posta in una località più vicina a Vodo e che presentava minori difficoltà di estrazione.
Nonostante questi accorgimenti, in fase di esecuzione dei lavori ci si rese conto che le previste arpionature di consolidamento dei vecchi muri richiedevano un maggiore impegno di quello previsto e probabilmente non sarebbero state sufficienti ad evitare il rischio di crolli; per la stabilità dell’edificio fu necessario dunque effettuare “una riduzione e un perfezionamento” che portarono ad un risultato molto diverso da quello progettato: al termine dei lavori – liquidati nel 1865 - la sommità a pinnacolo non c’era più e il campanile era diventato più basso e merlato.
La distruzione del 1917 e la successiva ricostruzione
L’8 novembre 1917 le artiglierie italiane bombardarono da mezza costa del colle antistante il Monte Rite l’abitato di Vodo nel tentativo di contrastare l’avanzata delle truppe austroungariche. Venne completamente distrutta la borgata di Chiarediego e buona parte di quella di Rezzuò. Ci furono anche due vittime: Anna Maria Talamini De Bastian, vedova di Simeone Talamini del Parón, nata il 29 luglio 1836, uccisa da una granata mentre era nella sua casa di Rezzuò e Maria Antonia Belfi Longo, vedova di Ludovico Belfi Longo, nata il 19 marzo 1837, bruciata viva nella sua abitazione a Chiarediego e i cui resti furono recuperati solo dopo alcuni mesi.
Anche la chiesa di S. Lucia, che compare nell’Elenco degli Edifizi Monumentali in Italia edito dal Ministero della Pubblica Istruzione nel 1902, fu duramente colpita e prese fuoco: il parroco don Giovanni De Vido fece appena in tempo a consumare le particole consacrate custodite nel tabernacolo e mettersi in salvo. Andarono bruciati i paramenti sacri e gli antichi arredi, ma anche opere d’arte di pregio fra cui una preziosa pala dipinta da Cesare Vecellio, raffigurante Maria Vergine fra Santa Lucia e San Gottardo. Si salvò il campanile, ma nell’aprile del 1918 gli austriaci requisirono le campane, fra le quali le tre fuse da Chiappani di Verona nel 1841 (unica superstite l’antica campana piccola risalente al 1587, la più vecchia conservata il Cadore, che gli abitanti nascosero salvandola dalla fusione).
La ricostruzione avvenne mantenendo le parti di muratura della vecchia chiesa di cui era rimasto solo lo scheletro esterno. Dei lavori si occupò l’Impresa comunale di ricostruzione, con fondi governativi in quanto danni di guerra. La nuova chiesa fu benedetta dal parroco De Vido il 13 dicembre 1921, quando ancora mancavano persino alcuni degli altari. I lavori proseguirono negli anni seguenti, non senza uno strascico di polemiche e malumori alimentati dalla non facile situazione sociale ed economica del dopoguerra. Nel 1928 arrivò anche l’organo, benedetto e inaugurato a maggio, mentre a dicembre furono collaudate le decorazioni parietali del coro, ma l’arricchimento degli arredi proseguì ben oltre a quella data anche grazie ad offerte e donazioni. La consacrazione avvenne il 12 novembre 1938 per mano del Vescovo mons. Giosuè Cattarossi.
Per riferimenti alla chiesa e agli avvenimenti durante la Grande Guerra oltre al citato volume di don Gianni, si veda: Marta Monego – Pietro Monego – Marco Moretta – Luigi Belfi, Parcè pòh a nośàutre?. La gente di Vodo, Peaio e Vinigo nella Grande Guerra 1915-1918, Rasai di Seren del Grappa 2018.